La maggior parte delle persone, utilizzando esclusivamente il buon senso, pensa che il software open source sia una cosa buona.
Se non altro è un'opzione percorribile per chi non ha le risorse necessarie per entrare nel normale mercato commerciale.
Ci sono individui, però, che ritengono la filosofia open un problema. Un grosso problema, almeno per il business.
Andres Guadamus, appartenente alla facoltà di Legge dell'Università di Edinburgo, ha condotto una ricerca sull'argomento e ha scoperto che una potente lobby di industriali sta chiedendo al governo Usa di considerare l'open source come la pirateria, se non peggio.
La lobby in questione è la International Intellectual Property Alliance (IIPA), un gruppo di organizzazione che comprende anche la Motion Picture Association of America (MPAA) e Recording Industry Association of America (RIAA). Ebbene, la IIPA ha chiesto alla US Trade Representative di includere Paesi come Brasile, Indonesia e India nella "Special 301 watchlist". Per quale motivo? Perché suddetti Paesi usano software open source.
Per chi si chiedesse cos'è la "Special 301 watchlist" ecco una spiegazione per sommi capi: si tratta di un report che esamina "l'adequatezza e l'effettività dei diritti riguardanti la proprietà intellettuale" nel mondo. In altre parole, una lista di nazioni che il governo considera come "nemici del capitalismo".
La questione è, onestamente, inquietante. Ma c'è di più.
La IIPA motiva la richiesta di inclusione dell'Indonesia nella watchlist con le seguenti ragioni: "La decisione del Governo Indonesiano…semplicemente indebolisce l'industria del software e minaccia la sua consolidata competitività creando una preferenza per quelle società che offrono software e servizi open, anche se ciò nega l'accesso di aziende "legittime" al mercato rappresentato dagli enti pubblici.
Piuttosto che sostenere un sistema che premi la soluzione migliore, a prescindere dal modello di sviluppo, si incoraggia un punto di vista che non paga la dovuta considerazione al valore delle creazioni intellettuali.
In questo modo, il sistema non sprona il rispetto dei diritti riguardanti le proprietà intellettuali e, in più, limita la capacità del Governo e del settore pubblico di scegliere la soluzione migliore".
Se l'inclusione dell'Indonesia nella watchlist sulla base di queste argomentazioni vi sembra improbabile, ripensateci. L'IIPA è infatti riuscita a includere perfino il Canada.
E cosa dire della situazione italiana?
Il 16 febbraio è stato presentato alla camera dei deputati dal deputato Rocco Girlanda (PdL) un'interrogazione parlamentare che si propone di fare chiarezza sulle misure messe in atto dal governo ed in particolare dal ministro Brunetta riguardo all'open source e la pubblica amministrazione.
Si legge nell'interrogazione "[…] il Ministero della Pubblica Amministrazione e dell'Innovazione ha sempre avuto tra i suoi obiettivi l'aumento dell'efficienza della pubblica amministrazione e dell'aumento della fruibilità da parte degli utenti; questo presupposto passa attraverso la funzionalità dei sistemi informatici e digitali con i quali la pubblica amministrazione si trova ad operare"
"per raggiungere questi obiettivi è necessario valutare l'opportunità di adottare nella pubblica amministrazione software rispondenti ai principi di funzionalità, sicurezza, alleggerimento dei sistemi informatici, resistenza agli attacchi virali e cibernetici, riduzione della spesa per il costo delle licenze".
"[…] diverse istituzioni del nostro Paese hanno discusso e approvato la possibilità di migrare ad altro tipo di software salvo poi sperimentare e confermare questa linea di indirizzo, tra cui i comuni di Firenze (gennaio 2001), Lodi (marzo 2002), Roma (febbraio 2004), la provincia di Bolzano (prima nelle scuole e poi nella pubblica amministrazione, con un risparmio solo sulle licenze di oltre 1 milione di euro), decine di comuni in tutta la penisola nonché diverse regioni o enti come l'Istat"
A questi importanti esempi nostrani possono essere aggiunti esempi di migrazione conclusisi in maniera positiva come quelli di Svizzera (9.000 computer nelle scuole dal settembre 2008 e tutti i server governativi entro il 2010), Danimarca (diversi comuni dal febbraio 2002), Germania e Francia (Ministero degli esteri e parlamento dal novembre 2008), dell'Inghilterra.
Non vanno poi dimenticati il Governo del Brasile, della Russia o lo stato del Massachussets.
Tutto questo ci insegna che un cambiamento etico è davvero possibile sospinto dalla consapevolezza di un importante risparmio economico.