martedì 3 novembre 2009

Copyright farmaceutico

I brevetti sui farmaci anti-AIDS sono un ostacolo per la sopravvivenza di milioni di persone nei paesi in via di sviluppo.
L’allarme, che viene lanciato ripetutamente da Medici Senza Frontiere (www.msf.it), si basa su di una constatazione molto semplice: nei Paesi del sud del mondo le terapie anti-AIDS non possono essere utilizzate perché troppo costose a causa dei brevetti che le proteggono.
La "Dichiarazione di Doha" del 2001 riconosce che gli accordi globali sui brevetti non devono sovrapporsi agli interessi di salute pubblica.
A questa affermazione fanno spesso ricorso quei paesi, come India, Brasile e Sud Africa, che per far fronte all’estendersi di gravi malattie, come appunto l’AIDS, iniziano a produrre, in violazione dei brevetti commerciali, copie generiche di questi farmaci salvavita. E puntualmente arrivano i pesanti attacchi da parte delle case farmaceutiche.
Nel 2001 furono ben 39 case farmaceutiche a portare in tribunale il governo Sud Africano. Alla fine, sotto la pressione dei mass media, le 39 multinazionali dovettero arrendersi. Ma ogni tanto ritornano alla carica.
E’ il caso della Novartis, già presente nella cordata contro il Sud Africa, che recentemente ha fatto causa all’India.
Questa volta l’obiettivo è quello di ottenere l’esclusiva sul brevetto del farmaco anti-cancro Glivec.
La multinazionale europea ha il brevetto dal 1993 ma questo farmaco viene prodotto, come generico, anche da 5 case farmaceutiche indiane.
Ovviamente il generico, che costa un tredicesimo del farmaco ufficiale, è facilmente accessibile per i malati nel Sud del Mondo.
La Novartis, per farla breve, vuole utilizzare il caso Glivec come grimaldello per sabotare la legislazione indiana che, manco a dirlo, è molto severa sui brevetti.
Sembra assurdo ma il mercato farmaceutico funziona così.
L’Ufficio di Valutazione Tecnologica degli Stati Uniti, dopo aver condotto un lungo studio del settore, ha concluso che il 97 per cento dei farmaci lanciati sul mercato sono semplici copie di quelli già esistenti.
Vengono solamente introdotte piccole modifiche al fine di ottenere un nuovo brevetto.
Secondo uno studio della rivista La Revue Prescrire il 68 per cento delle medicine approvate in Francia, negli ultimi 25 anni circa, erano una copia di quelle precedenti.
Il British Medical Journal sostiene che dei farmaci approvati negli anni ’90, dall’FDA (Food and Drug Administration) il 75 per cento non aggiungono nessun beneficio terapeutico.
E’ chiaro quindi che attualmente, nell’ambito dell’industria farmaceutica, l’interesse dei malati non viene minimamente considerato o, al limite, non è una delle variabili più importanti.
Il brevetto dei farmaci quindi, così come avviene per il Copyright, viene piegato all’interesse di pochi invece di servire, come doveva essere in principio, al beneficio di tutti. Ma non è sempre stato così.
Albert Sabin, famoso virologo statunitense di origini polacche, è ancora oggi ricordato per la scoperta del vaccino contro la poliomelite.
Negli anni ’50 era già in uso il vaccino Salk che però, come era stato verificato negli USA, non dava garanzie di successo nel 100% dei casi.
Il vaccino del prof. Salk inoltre doveva essere somministrato per iniezione.
In quegli stessi anni Albert Sabin preparò e sperimentò, anche su di sé e sulle sue figlie, un nuovo vaccino che, a differenza del Salk, poteva essere assunto per via orale.
Il vaccino Sabin ottenne un grande riscontro prima nei paesi dell’Europa dell’Est quindi, solo dopo alcuni anni, anche negli USA.
Oggi la poliomelite è debellata anche per merito della scoperta di Sabin che però non ci guadagnò nemmeno un dollaro. L’illustre virologo rinunciò infatti a brevettare il farmaco al fine di contenerne il prezzo e, quindi, garantirne la massima diffusione anche tra i più poveri del pianeta.
Sabin non fu un santo ma, più semplicemente, un medico che, a differenza delle case farmaceutiche attuali, aveva ben chiaro il ruolo della medicina.

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